Drag

Fra i vari contrari al Gay Pride a Lugano, oltre a chi ha paura che i bambini si scandalizzino e vuole scappare in montagna nei giorni del Pride (mentre se fosse il Carnevale di Rio con le brasiliane in tanga allora sarebbe tutto a posto, per i bambini), chi è disgustato per due uomini che si baciano e si tengono per mano (ma poi magari si spacca di seghe sui porno lesbo), chi fa le battutine omofobe sui finocchi e sul prenderlo in quel posto (e poi magari va a trans perché la moglie non lo soddisfa o perché ha scoperto nuove vie per il piacere), spiccano   quelli che dicono che non hanno niente contro i gay, ma il Gay Pride non va bene perché è troppo esibizionistico, “un carrozzone”, “un Carnevale” (e poi ti rombano davanti col Ferrari guardando l’ora sul loro Rolex sotto il tuo naso per farti sentire povero, anche se loro non hanno niente contro la povertà, e al suddetto Carnevale si tirano marci…)

Parliamone, però, senza ideologismi: Il Gay Pride, al di là dell’altissimo valore di momento di lotta e di rivendicazione per i diritti LGBT negati nel mondo e per le continue discriminazioni di cui omosessuali, transessuali e travestiti sono oggetto nella vita di ogni giorno anche in quei Paesi che ufficialmente hanno eliminato la disparità, ovvero il motivo per cui è nato, presenta degli aspetti esteriori, coreografici diciamo, che progressivamente hanno catalizzato l’attenzione dei media, siano essi in buona fede o meno, finendo per diventare l’immediata associazione che l’uomo medio compie pensando al Gay Pride, e che alla fine diventano oggetto di discussione e di contestazione per coloro che considerano il Pride un’inutile ostentazione, e puntano il dito soprattutto contro il bersaglio facile di queste contestazioni, l’elemento più appariscente di ogni Gay Pride, coloro che si proiettano al centro dell’attenzione con estremo compiacimento: le drag queen.

Ora, per chi è involontariamente estraneo o pregiudizievolmente ostile al mondo LGBT, le drag queen non sono altro che quelli comunemente chiamati travestiti, ovvero null’altro che uomini vestiti da donna come a Carnevale. Ed è questa l’affermazione più superficiale ed errata che si possa fare al riguardo, vuoi per sincera ignoranza rispetto all’argomento, vuoi per consapevole volontà di denigrazione, poichè travestito, transessuale, e drag queen sono tipologie di persone distinte, che fanno riferimento sia all’orientamento e all’identità sessuale, sia allo scopo del travestimento: senza scendere troppo in dettagli medico-scientifici, il transessuale è una persona che si sente fondamentalmente intrappolata in un corpo del sesso opposto al suo e che non sente come proprio (e che, attenzione: non è necessariamente di orientamento omosessuale) risolvendo in genere il problema con un’operazione di cambio di sesso; il travestito, invece, è un soggetto in genere maschio e molto spesso eterosessuale (eh si: sorpresa!) che si traveste da soggetto del sesso opposto sostanzialmente a scopo sessuale.

Ma la drag queen, signori, è un’altra cosa. La drag queen è il gay, quanto meno nella maggior parte dei casi, che si veste da donna per motivi sostanzialmente di intrattenimento (esistono anche, ma in misura minore) i drag king, ovvero le donne che si vestono da uomo per lo stesso motivo): la drag è puro spettacolo, è l’essere donna portato sulla scena e reso iperbolica rappresentazione di se stesso dal punto di vista maschile, è la consapevole e ironica estremizzazione dell’estetica femminile resa con virile possanza: per citare uno dei miei film preferiti sul tema, ovvero A Wong Foo, grazie di tutto, Julie Newmar ( con nientepopodimenoché il compianto Patrick Swayze su cui le nostre coetanee hanno sbavato in Dirty Dancing e Ghost, e Wesley Snipes, alias il vampiro ammazzavampiri di colore superfighissimo di Blade nella parte di due splendide drag), “Quando un gay è fornito di fin troppo senso dello stile per un solo sesso, quello è una drag queen”.

La drag queen è il cortocircuito dei due sessi: un uomo consapevole di esser tale a cui piacciono gli uomini ma che si veste come il maschio dominante si aspetta debba vestirsi idealmente una donna (e la gonna, grande e ingombrante e la parrucca che ricrea un’acconciatura elaborata qui sono dei must) e che mette in scena gli atteggiamenti fastidiosi tradizionalmente rinfacciati al mondo femminile, ovvero la petulanza, l’isterismo, l’ipersensibilità, gli stessi che però, se messi in atto in veste maschile, lo porterebbero ad essere definito “una checca isterica”: la drag queen è, quindi, il più grande troll che il maschio dominante possa mai incontrare, quello che ci fa ridacchiare quando strilla come una pazza ma che poi, quando si toglie la parrucca, rivela fondamentalmente le nostre ipocrisie.

Il gay spesso non può permettersi, nella vita normale, di esprimere una femminilità esagerata e viscerale, deve essere uomo a tutti i costi, a pena di essere tacciato con l’epiteto di cui sopra: ma quando sale su quel tacco 18, imbellettato come una diva, con la sua parrucca rococò, quando entra nel personaggio che ha creato per se stesso, tutto gli è permesso, anche fare la pazza e la smorfiosa con gli uomini in sala, lasciarsi andare a battute taglienti e poi fare l’offesa perché è una signora, perché in quel momento lui non è più lui, ma è la Dea, la Divina, la Regina del palcoscenio, e la Regina può tutto.

Ho assistito a diversi spettacoli di drag queen, soprattutto catanesi, e ho sempre visto un pubblico eterogeneo, quasi del tutto eterosessuale, tante coppie in cui il marito rideva indicando alla moglie la rappresentazione esagerata delle sue incazzature, e la moglie sghignazzava per l’imbarazzo del marito davanti alle esagerate avances e alle allusioni alla virilità da parte della drag; perché a loro, si, è anche permesso di fare quelle battute a doppio senso che una donna non dovrebbe fare per decoro, ma che in realtà molti uomini sommessamente vorrebbero sentire dalle proprie compagne. Seguivo in particolare un personaggio che poi è finito anche in tv in una di quelle trasmissionacce da pomeriggio RAI tipo “La Vita In Diretta”, con un discreto talento, credo si chiamasse Alfio, o qualcosa del genere, ma per tutti era semplicemente Jessica: catanese fino al midollo, anche una bella presenza, nella prima parte si dedicava ai classici travestimenti e a una serie di sketch a volte anche un po’ volgari ma coerenti con l’insieme, nella seconda parte invece si toglieva la parrucca e i lustrini, e ci incantava cantando con una voce divina, chiudendo con la cover in italiano di My Way, “A modo mio”, un vero e proprio inno al fare della propria originalità uno stile di vita.

Non esiste un Gay Pride senza drag queen come non esiste un corteo della Sinistra senza bandiere del Che o cubane o con falce e martello: la drag queen è la parte di show del Pride, è l’allegria e la feroce ironia e autoironia su entrambi i sessi allo stesso tempo, è l’esagerazione divertita e consapevole di creare scandalo, è lo sberleffo supremo al machismo e al maschilismo ancora dominanti nella nostra società. Può piacere o meno, anche all’interno dello stesso mondo LGBT, ma ne è tuttavia parte integrante, tanto da rappresentare per alcuni una vera e propria valvola di sfogo: ne è un esempio la celeberrima drag italiana Platinette, al secolo Mauro Coruzzi, un personaggio che, come ha raccontato lo stesso interprete, è nato per superare una forte depressione e che poi è diventato un’icona per la sua presenza decisamente notevole e l’umorismo tagliente e dissacrante.

Perciò, cari perbenisti che storcete il naso di fronte a uomini in parrucca, tacchi altissimi e piume di struzzo, sappiate che se provate fastidio nei confronti delle drag, ebbene, state esattamente realizzando il loro scopo, sintetizzato nella frase che Ru Paul, una delle più famose drag queen americane (vista anche a Sanremo in duetto con Elton John su Don’t go breaking my heart negli anni ’90), pronuncia in A Wong Foo premiando la reginetta del concorso di Miss Drag Queen USA: “E ora andate, e scandalizzate questo Paese”, feroce parodia del biblico “andate e moltiplicatevi”. Volete davvero mettere in crisi una drag? Provate a ignorarla, se ci riuscite, toglietele il palcoscenico, spegnete i riflettori, e allora si, forse solo in quel momento ella sarà quello che voi pensate che sia, solo un uomo vestito da donna.

Ma fino ad allora, signori, che vi piaccia o meno, lei è la Regina.

L’articolo Il divino mondo delle Drag Queen proviene da GAS – Quello che in Ticino non ti dicono.

Leggi l’articolo originale: https://gas.social/2017/03/il-divino-mondo-delle-drag-queen/

Il divino mondo delle Drag Queen

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *