
L’esondazione delle fogne del web di fronte alle notizie di cronaca che abbiano come protagonisti i migranti (ma spesso anche le donne) è ormai un fenomeno che conosciamo bene: non ha fatto eccezione il caso della giovane eritrea morta a Bellinzona cadendo dal balcone, da cui si pensa sia stata spinta dal marito (il quale tuttavia nega i fatti).
Il cadavere non era ancora freddo che già la solita fanghiglia umana cominciava a traboccare con i soliti commenti beceri e razzisti. Spiccavano in particolare i commenti di due signore, entrambe amanti degli animali al punto che una delle due gestisce un’associazione (e relativa pagina Facebook) che si occupa di gatti abbandonati o da collocare: entrambe le gentili signore sostenevano sostanzialmente che la povera ragazza se la fosse andata a cercare, che meritasse di morire in quanto non aveva abbandonato l’uomo, fino ad arrivare a definirsi indifferenti di fronte alla morte e invece preoccupata, la signora dei gatti, del fatto che i figli e il marito adesso finissero a carico dello Stato.
Questa volta, però, qualcuno ha detto basta: la misura è colma, si è sopportato fin troppo. Qualcuno si è finalmente reso conto che contro questi comportamenti scandalosi e fin troppo tollerati esiste un’arma efficace, che è là da tempo e che pochi, vuoi per paura, vuoi per una certa sottovalutazione della gravità degli atti anche se compiuti sul web, utilizzano: il Codice Penale.
Succede dunque che R.*, luganese, una persona comune come tante che frequentano i social per passatempo e per chiacchierare, si trova davanti questi commenti riportati da uno dei suoi contatti: scatta qualcosa, l’idea che forse è possibile far soffrire a questi individui le conseguenze delle loro azioni e delle frasi dette senza soppesarne la gravità e l’infamia. R. si consulta con un amico giurista, e ricevute le dovute informazioni circa la punibilità di quelle frasi decide di lanciare un appello sempre per mezzo dei social per raccogliere firme a sostegno di una segnalazione al Ministero Pubblico, che in questi casi sarebbe tenuto ad agire d’ufficio.
E qui accade quello che forse sembrava impossibile: R. riceve decine di messaggi di persone che vogliono firmare la petizione, raccoglie le firme ovunque, persino in Piazza Riforma durante Estival (usando anche la schiena del sottoscritto come “scrittoio”). In circa tre giorni quasi 50 persone sottoscrivono la segnalazione, persone comuni, uomini e donne di ogni età e di ogni schieramento politico, che semplicemente hanno colto l’occasione per unirsi e dire basta a questo razzismo dilagante: “e se avessimo avuto più tempo sarebbero state un centinaio”, ci dice R., “Ha firmato anche mia mamma di 93 anni. Mi fa: ‘a l’è ura da finila!’. Non dobbiamo farne più passare nemmeno uno!”.
A R. fanno eco altri firmatari, altrettanto decisi e motivati a lanciare a queste persone il messaggio che qualcuno si è stancato, e che certe espressioni di razzismo e xenofobia non saranno più tollerate: “Denunciamo perchè forse iniziando a denunciare queste persone ci penseranno 2 volte prima di scrivere cavolate”, dice B*, del Mendrisiotto; le fa eco M*, di Morbio Inferiore: “bisogna lottare contro la xenofobia e il razzismo dilagante.”. C.*, da Brissago, allarga poi il discorso a chi spesso dovrebbe dare il buon esempio ma, per ignavia o per dolo, se ne guarda bene: “Si deve anche mandare un segnale forte a politici e personaggi che si permettono di alimentare l’odio, sdoganandolo e fomentandolo in modo vergognoso”. La storia di M*, da Stabio, poi, è uno squarcio di umanità vera: “Io e mia moglie abbiamo firmato perché crediamo fortemente nell’umanità: siamo genitori adottivi di due splendide persone una dalla pelle scura e una chiara con i capelli biondi. Ogni volta che sentiamo o leggiamo commenti razzisti ci sentiamo colpiti e feriti. Ci fa male al cuore. È dura pensare che ci sono persone piene d’odio contro altre persone solo per il colore della pelle”. E C.*, da Sementina, riassume probabilmente il senso simbolico di questa azione, al di là dei risultati: “Questo Ticino ricco di cuore e umanità , mi emoziona , per questo ho firmato, perché assieme dobbiamo credere che questo paese, molto preoccupante, è ancora abitato da donne e uomini che vogliono cambiare per il bene di tutti”.
Adesso non resta che attendere che la segnalazione faccia il suo corso. È un piccolo passo, sicuramente, ma è il segnale che forse qualcosa sta cambiando, che davvero il puzzo delle fogne del web inizia veramente a farsi intollerabile, e che qualcuno deve anche farsi carico di spazzare via tutto questo fango: una condanna in tal senso potrebbe essere un precedente importante per dissuadere determinati individui a riversare il loro odio sui social. Speriamo.
* Nomi noti alla redazione
L’articolo Il Ticino sano si ribella proviene da GAS – Quello che in Ticino non ti dicono.
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