
Ha fatto il giro del mondo il video di una giovane ragazza che su Snapchat, con il nome d’arte “Khulood”, appare in un video in cui percorre un importante sito archeologico in Arabia Saudita. Ciò che ha fatto scalpore è che la ragazza, ripresa di spalle, indossa una minigonna e una t-shirt che le lascia il ventre scoperto, abbigliamento assolutamente vietato nel regno wahabita che impone alle proprie cittadine l’obbligo di indossare l’abaya, il tradizionale abito lungo nero che copre il viso e le forme (l’obbligo, tuttavia, non è esteso alle cittadine straniere). Quel paio di cosce così proditoriamente esposte ha scatenato in un attimo paura e delirio a Riyad: le autorità hanno immediatamente avviato le indagini per identificare la misteriosa ragazza, che secondo la TV di Stato è stata poi arrestata e si troverebbe in custodia cautelare nella capitale. La ragazza avrebbe ammesso di aver effettivamente girato quel video mentre si trovava sul luogo in compagnia del suo “guardiano” (padre, marito o fratello secondo la legge saudita), ma che il video sia finito sulla Rete a sua insaputa e l’account non è suo.
Nonostante questo, come accade anche dalle nostre parti, c’è chi ha reagito in modo spropositato, chiedendo che venga ripristinata l’Haya, la polizia religiosa, con poteri di arresto in casi come questo, in tanti, sia a livello governativo sia semplici cittadini, hanno chiesto che sia duramente punita, altri invece hanno colto l’occasione per contestare il rigidissimo regime di separazione dei sessi vigente in Arabia Saudita.
Non sappiamo ancora come si chiama quella ragazza, al di là del nick name, né che fine farà: ma in un Paese in cui la rigida interpretazione wahabita dell’Islam impedisce alle donne di guidare un’auto, ottenere un passaporto e recarsi all’estero senza il permesso del parente maschio guardiano (padre, marito, fratello), e fino poco tempo fa anche semplicemente per uscire di casa senza il suddetto permesso, quel paio di cosce sono un atto rivoluzionario. Quella pancia scoperta, quella minigonna che mostra le gambe, ciò che in quasi tutto il mondo avrebbero suscitato apprezzamenti maschili e che invece in un Paese di legislazione islamica fanno stracciare le vesti ai più, sono uno schiaffo in faccia all’oppressiva morale sessuale del regno saudita, oltre che in generale, è il caso di dirlo al di là di ogni ipocrisia, di gran parte dei regimi fondati sul diritto islamico. Un gesto così non dovrebbe finire nel dimenticatoio, dovremmo vedere altre dieci, cento, mille cosce scoperte in Arabia Saudita, nello Yemen o dovunque le donne siano ridotte a ombre nere nella polvere: dovrebbe diventare come il sedere afroamericano di Rosa Sparks che si incolla al sedile riservato ai bianchi e non si schioda, come il salto del soldato della DDR oltre il filo spinato verso Berlino Ovest, come il misterioso passante fermo davanti al carro armato in Piazza Tien An Men.
Rischiamo, tuttavia, di non comprendere la portata di piccoli gesti come questo, per noi normalissimi ma in quei contesti potenzialmente in grado di mettere a rischio l’incolumità di una persona. Siamo stretti, a mio avviso, in una sorta di assedio morale da parte della Destra xenofoba e islamofobica tale che a volte, nell’ansia di evitare di ritrovarci stretti nell’abbraccio mortale di quella Destra e sentirci dare di gomito dai vari Quadri, Blocher, Le Pen come a dire “Vedi? Anche tu sei d’accordo con me!”, forse finiamo per ammorbidire, quando non esplicitamente autocensurare, ogni opinione critica che anche solo contenga la parola Islam. Ed è per questo il peggior torto che possiamo fare a Khalood: sminuire l’oppressione che grava sulle donne nei Paesi che applicano rigidamente i precetti islamici relativizzandola all’ambiente culturale, limitare la battaglia per la laicità dello Stato ai nostri contesti occidentali ed ignorare ciò che accade altrove derubricandolo a questioni interne. È un torto a tutte le donne rimanere all’interno dei recinti del politicamente corretto e non ammettere che in Arabia Saudita (al di là dell’essere un fedele alleato degli USA e una probabile finanziatrice occulta del terrorismo, ma dettagli..), così come nello Yemen e in altri Paesi nell’area, l’Islam divenuto legge dello Stato mostra il suo volto peggiore e repressivo verso la dignità della donna. Se tale dignità è un valore assoluto, e lo è indubbiamente, allora non scordiamoci di quella minigonna sotto il sole, non consideriamola un atto isolato di una ragazza anticonformista, ma diffondiamolo, sosteniamolo, e diciamolo: “Je suis Khalood”.
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L’articolo Quel paio di gambe contro l’integralismo islamico proviene da GAS – Quello che in Ticino non ti dicono.
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