
Il rugby è conosciuto per essere uno sport fondato sui valori del rispetto delle regole e dell’avversario due punti ci si picchia in campo ma alla fine sì solidarizza e si fa festa insieme. Questo contesto di correttezza e legalità è diventato lo sfondo per una bellissima storia di sport utilizzato per operare nel sociale ed educare le giovani generazioni.
Siamo a Librino, popoloso quartiere di Catania (70mila abitanti), una sorta di città nella città isolata dal centro, che riassume in sè il senso del degrado e dell’abbandono delle periferie urbane italiane: a Librino si vive di spaccio e mafia, i clan si combattono spargendo sangue per le strade, e decine di minori vivono la delinquenza e la malavita sulla propria pelle, in famiglia.
In questo contesto, nel 2006, dal centro culturale autogestito Iqbal Masih sorge la squadra di rugby del Briganti di Librino, con l’obiettivo di portare i bambini del quartiere dalla strada al campo insegnando la legalità e il rispetto attraverso lo sport: nel 2008 arriva anche la squadra Senior, per dare maggior spinta al progetto.
Il progetto Briganti è sempre stato legato a doppio filo ad un luogo particolare, il campo San Teodoro, distante un centinaio di metri dall’Iqbal: costruito per ospitare le gare delle Universiadi del 1997 svoltesi a Catania, il campo non è stato mai completato, e, consegnato ufficialmente nel 2003, è stato poi lasciato nel più completo stato di abbandono, e le strutture annesse vandalizzate e depredate di ogni bene, persino usate dalla mafia per nascondere armi e droga; i Briganti hanno più volte chiesto la gestione del campo, invano: nessuno ha mai corso su quel campo argilloso, e per la squadra di Librino non c’è stato altro da fare che vagare per i campi della città, organizzando passaggi verso il campo di allenamento per i più piccoli, fra mille difficoltà.
La lontananza dal campo e il continuo girovagare fanno sì che qualche ragazzino si perda, risucchiato dai gorghi della malavita che utilizza i minori in quanto meno perseguibili, finchè la lontananza dal campo miete una vittima: uno dei ragazzi, Peppe Cunsolo, 13 anni, finisce rapito tra i tentacoli della mafia e inizia a spacciare; dopo un periodo in comunità ritorna a Catania alla fine del 2011 e rimane coinvolto in un incidente stradale (di cui sono ancora dubbie le dinamiche) che lo uccide dopo due settimane di coma a due settimane dal suo quattordicesimo compleanno, a metà febbraio del 2012.
Ma questa tragedia è destinata a non cadere nel dimenticatoio. Scatta qualcosa, dentro i ragazzi di Librino, qualcosa che li spinge a passare all’azione; ce lo racconta con la sua viva voce Angelo Scrofani, capitano dei Briganti:
Questa piccola morte ci scosse a tal punto che decidemmo che nessun altro Peppe Cunsolo doveva lasciarci perché un’amministrazione troppo menefreghista e vigliacca (la giunta Stancanelli, di centrodestra, N.d.R.), si girava dall’altra parte, e il 25 aprile del 2012 abbiamo deciso di prenderci quello che ci spettava di diritto: il San Teodoro. L’abbiamo occupato liberandolo dalle catene che l’opprimevano dal 1997; al nostro ingresso il campo era una giungla e gli interni sembravano appartenere ad un posto bombardato: arbusti ovunque, vetri sfondati da pietre e pallottole, porte distrutte, sanitari ridotti in macerie, carcasse di topi e chi più ne ha più ne metta.
Il resto è storia recente: la Federazione Italiana Rugby omologa il campo, e i Briganti tornano “a casa”, a Librino, ottenendo ufficialmente il comodato d’uso gratuito sul campo nel 2015.
La splendida follia di un gruppo di sportivi è diventata realtà alle falde dell’Etna.
Oggi il Campo San Teodoro è diventato un luogo di aggregazione importante per il quartiere, un centro culturale in cui ai rugbisti e alle rugbiste (perché si,i Briganti hanno anche una squadra femminile, le agguerritissime Brigantesse) si affiancano i lettori che frequentano la Librineria (una biblioteca popolare nata nell’ottobre del 2014), abitanti del quartiere che coltivano i circa settanta lotti di terreno dell’orto urbano, il primo progetto del genere da Bologna in giù), bimbi che studiano al dopo scuola, fanno teatro, giocano. Alcune delle cicatrici lasciate dal periodo di abbandono sono rimaste, conservate a memoria di come era il luogo, a volte riciclate con ironia: il buco nel muro in cui alloggiava il quadro elettrico divelto interamente è stato coperto con due lastre di vetro, diventando una sorta di opera d’arte urbana.
Ogni anno ha luogo un torneo di rugby per le categorie giovanili intitolato ad Iqbal Masih, che radunando centinaia di bambini (circa 600 per ogni edizione negli ultimi 3 anni) è diventato cil più grosso torneo giovanile a sud di Benevento. Anche numerosi personaggi del mondo della cultura si sono interessati ai Briganti: Ascanio Celestini ha fatto visita al campo, mentre Marco Paolini ha scritto un pezzo su L’Espresso, e numerose altre testate hanno raccontato la storia di questa incredibile realtà.
Recentemente, si è aperto un nuovo capitolo per il San Teodoro e per i Briganti, la ricerca di quello che qualsiasi impianto sportivo merita: un prato. Il fondo di gioco argilloso si trasforma in una “morbidissima” distesa di cemento in estate e in una risaia in inverno: per sostenere lo sforzo economico necessario a migliorarne le condizioni è stata indetta una campagna di raccolta fondi chiamata “I Briganti Si Meritano Un Prato” che si dirama in più direzioni: è possibile donare tramite crowdfunding (dalla piattaforma Produzioni dal Basso) o tramite raccolta diretta, dal link https://www.produzionidalbasso.com/project/i-briganti-si-meritano-un-prato-vol-2/
A Librino c’è ancora molto da fare, ma la realtà dei Briganti rappresenta una speranza, come ci dice Angelo, dal profondo del cuore e senza mezzi termini.
I drammi di Librino, e di tutti i quartieri popolari, sono i politicanti che li guardano cadere nel baratro senza fare un cazzo perché una massa rassegnata che non vede la luce del cambiamento puoi prenderla per il culo usandola in periodo elettorale come fosse l’ultima delle puttane e dimenticandola il giorno dopo le elezioni dopo averle lasciato una manciata di euro per la prestazione. Credo che i Briganti, e tutte le centinaia di realtà che come noi lavorano nei quartieri, siano questo barlume di cambiamento
E noi stiamo con i Briganti, perché, come recita il motto preso a prestito da un noto brano: Omo se nasce, Brigante se more.
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